31 maggio 2018
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Phoenix e Ibt, le aziende informatiche che fanno “girare” le banche

“In questo viaggio tra i centri di formazione e le aziende digitali abbiamo scoperto eccellenze straordinarie. Tutti i nostri interlocutori hanno auspicato che la politica aiuti il settore a fare sistema e a farsi conoscere in Trentino e nel mondo”. Così il sindaco Alessandro Andreatta, giunto alla sesta tappa del suo tour nel mondo dell'Ict: stavolta le protagoniste sono due aziende – Phoenix e Ibt – leader in Italia per quanto riguarda i servizi bancari e attori fondamentali in quell'operazione che, dal 2019, farà diventare Cassa Centrale Banca capo dell'ottavo gruppo bancario italiano.

“In questo viaggio tra i centri di formazione e le aziende digitali abbiamo scoperto eccellenze straordinarie. Tutti i nostri interlocutori hanno auspicato che la politica aiuti il settore a fare sistema e a farsi conoscere in Trentino e nel mondo”. Così il sindaco Alessandro Andreatta, giunto alla sesta tappa del suo tour nel  mondo dell'Ict: stavolta le protagoniste sono due aziende – Phoenix e Ibt – leader in Italia per quanto riguarda i servizi bancari e attori fondamentali in quell'operazione che, dal 2019, farà diventare Cassa Centrale Banca capo dell'ottavo gruppo bancario italiano.

La storia di Ibt ha qualcosa di mitico, anche se il direttore tecnico Stefano Bonomini e il direttore commerciale Gianni Raineri giurano che si tratta di una vicenda reale: “Tutto nasce nel 1983, da un problema alla Cassa Rurale di Cadine che, a causa di un guasto informatico, ha tutte le operazioni bloccate – racconta Raineri, siciliano trapiantato a Trento ormai da decenni - Il direttore chiede aiuto a un amico, professore di matematica: è Maurizio Passerotti che, in una notte, non solo risolve il problema ma crea l'embrione del software Gesbank, lo stesso commercializzato oggi. Con l'aiuto di alcuni professionisti, Passerotti fonda Ibt e comincia a vendere il suo software prima alle Casse rurali, poi alle piccole Casse di risparmio e infine anche a banche estere. Il prodotto all'inizio veniva denigrato per la sua semplicità e perché era molto meno caro dei concorrenti sul mercato: poi è stato apprezzato proprio per questo”.

Nel 2003 Ibt entra nella cooperazione tramite Cassa centrale e, con i suoi 40 dipendenti, produce 6 milioni di fatturato. Nel 2017 i dipendenti sono diventati 130, il fatturato è salito a 15 milioni. “Siamo andati in controtendenza rispetto al mercato – continua Raineri – La crisi delle banche noi l'abbiamo vissuta bene, i clienti sono aumentati”.

Fiore all'occhiello di Ibt è il progetto di alternanza scuola-lavoro con l'Ite Tambosi Battisti: “Abbiamo visto che l'inserimento in azienda era poco produttivo per i ragazzi. Abbiamo preferito prendere un paio di classi e dar loro delle commesse: devono creare un team, rispettare le scadenze, trovare soluzioni. Per noi hanno creato un software per monitorare le presenze all'interno dell'azienda e un altro per gestire le scadenze e i rinnovi dei contratti. Alcuni ragazzi particolarmente brillanti li abbiamo anche assunti”. Stretti anche i rapporti con l'università, in particolare con il professor Massimiliano Sala, docente di matematica che si occupa anche di cyber security.

Due sono le proposte che Ibt lancia al mondo della politica: “Creare un database delle competenze trentine, perché se ad un'azienda serve personale è meglio trovarlo a Trento che andare in cerca a Milano”. La seconda proposta: “Noi abbiamo sempre bisogno della ricerca per migliorare, ricerca matematica, informatica, ma anche economica. Se l'università creasse un laboratorio aperto, a cui le aziende possono rivolgersi per portare idee da sviluppare e problemi da risolvere, forse riusciremmo a pensare qualcosa di nuovo e di strategico, capace di far crescere sia le competenze di studenti e ricercatori sia il tessuto imprenditoriale”.

Anche il gigante Phoenix – quasi 90 milioni di euro di fatturato, 17,4 milioni di utili, una cifra analoga in investimenti in ricerca e sviluppo – è un'impresa trentina doc: “Siamo nati come piccola cooperativa negli anni Settanta – racconta al sindaco il vicedirettore Ivan Moser – Da metà degli anni Novanta c'è stata l'espansione nel mercato extraprovinciale: dà lì è partita la crescita successiva fino ad arrivare, nel 2001, alla nascita di Phoenix, che da dicembre fa parte parte del gruppo Cassa centrale, di cui è società di riferimento per l'innovazione tecnologica, anche se si continua anche a guardare anche a banche fuori dal gruppo”.

Nonostante i suoi 200 dipendenti (età media: 40 anni), Phoenix è sempre alla ricerca di nuove figure: “L'età media dei neoassunti è di 26 anni – spiega il vicedirettore Manuele Margini – Il che significa che di solito prendiamo neolaureati, per lo più dall'università di Trento, facoltà di Fisica, Matematica, Ingegneria, ma anche Economia e Giurisprudenza. Facciamo noi la selezione del personale e non è sempre facile trovare i profili giusti”. Infatti, continua Moser, “quando prendiamo gli elenchi di Almalaurea, scegliamo i laureati migliori e li contattiamo, alla fine non solo molte le persone disponibili. Purtroppo c'è un solco tra il mondo universitario e quello del lavoro. I giovani non si rendono conto che da noi ci sono molte possibilità di crescita, siamo un'azienda meritocratica, qui capita che il responsabile di un ufficio abbia 30 anni. E nessuno si licenzia”.

Phoenix offre alle banche un pacchetto completo di servizi che, in ordine sparso e non esaustivo, vanno dal software gestionale Sib2000 all'Inbank, ai bancomat, a una app (il varo è prossimo) per il trading on line. 12 mila operatori bancari lavorano su sistemi Phoenix, quasi un milione di clienti usa l'Inbank, 2600 Atm e 64 Pos in bar e negozi in Italia sono collegati a Trento. E se tutto il sistema saltasse a causa di una qualche calamità? C'è il Disaster recovery a Milano, che duplica in modo speculare il Ced di Trento. Tempo quattro ore e tutto il sistema riparte. E' proprio la sicurezza il settore forse più strategico di un'azienda come la Phoenix. “Ormai siamo passati dalla sicurezza fisica alla sicurezza informatica – spiegano Moser e Margini – Solo i disperati fanno rapine in banca, i veri criminali rubano sul web. Per questo stiamo investendo tantissimo in sistemi antimalware. Abbiamo anche dei consulenti esterni che paghiamo perché provino a violare le nostre reti: loro ci segnalano i possibili punti di debolezza, in modo da migliorare continuamente il sistema. Per esperienza sappiamo però che l'anello debole è il cliente finale: se lui non si accorge di avere un virus nel computer, i suoi dati e i suoi soldi possono essere alla mercé degli hacker e delle organizzazioni criminali”.

Come mai nell'orbita della cooperazione bancaria trentina convivono due aziende molto simili come Phoenix e Ibt? “Sono nate in modo indipendente, hanno storie diverse – spiega Margini – Già ora collaboriamo e non è escluso che in futuro si possa andare verso l'integrazione”.

Fonte: Ufficio Stampa Comune di Trento

Autore: Redazione
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