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L’intelligenza artificiale può essere bene comune

L'evento organizzato dalla Federazione ha aperto un percorso, di approfondimento e analisi, volto a trovare modi e strumenti utili per guidare il cambiamento verso una direzione più inclusiva, equa e sostenibile

Con il contributo ti tutti, imprese, scuola e, più in generale, di tutta la comunità, sarà possibile non solo evitare di subire passivamente gli effetti dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite, ma arrivare a governarne lo sviluppo, in modo consapevole, affinché possa essere uno strumento al servizio dell’umano. Quella delineata ieri, in occasione dell’evento “Intelligenza artificiale, bene comune” organizzato dalla Federazione Trentina della Cooperazione con il patrocinio di Fbk, non è una visione di ingenuo ottimismo, ma un’analisi razionale, fondata su ricerca e studio di dati e dinamiche già sviluppate. Non sarà facile, ma sarà possibile. E auspicabile. Come ha sottolineato il direttore generale della Federazione Alessandro Ceschi aprendo la serata. “L’intelligenza artificiale – ha detto – fa già parte della nostra vita di tutti i giorni, a più livelli, anche se a volte neanche ce ne accorgiamo. Interrogarsi su come gestire questi strumenti, come diventare realmente protagonisti di questo sviluppo, è una sfida a cui non possiamo sottrarci. La Federazione ha scelto di impegnarsi in un percorso, di riflessione e formazione, per affrontare il tema in modo analitico, razionale e pragmatico. L’obiettivo è anticipare il cambiamento, guidarlo, in modo che possa essere il più inclusivo ed equo possibile”.



A dare forza a queste parole, i contributi degli esperti che, guidati dalla giornalista del quotidiano Il T Marika Damaggio, hanno affrontato il tema da diversi punti di vista, ponendo l’accento sia sulle opportunità che sui rischi. A cominciare da Carlo Mancosu, professionista con oltre 15 anni di esperienza nel campo della comunicazione e del marketing digitale, specializzato in fintech, intelligenza artificiale e sistemi distribuiti, che ha proposto un excursus storico dello sviluppo dei sistemi che hanno portato alla nascita dell’AI. Quella presentata da Mancosu è una sorta di rivoluzione, che nel giro di un tempo relativamente breve ha trasformato completamente il modo di concepire le cose, mettendo al centro le connessioni. "È un fenomeno – ha commentato – che sta assumendo dimensioni incredibili, anche a livello economico”.

E forse uno dei rischi maggiori connessi a questo fenomeno è proprio la difficoltà di comprenderlo pienamente in tutte le sue sfaccettature. A cominciare dagli aspetti più tecnici, introdotti da Cecilia Pasquini, ricercatrice Fbk dell'unità Security & Trust, che ha spiegato in modo semplice il significato e la tecnologia alla base di questo tipo di strumenti, offrendo una serie di definizioni che hanno permesso di cogliere la varietà di ambiti e utilizzi. Pasquini ha offerto un quadro chiaro anche delle realtà impegnate nello sviluppo dell'AI. “Innanzitutto – ha spiegato – c’è un’intensa attività di ricerca scientifica, a cui si aggiunge il coinvolgimento delle aziende nella ricerca e crescenti investimenti privati”.

Gli ambiti di sviluppo e utilizzo sono ampi e, in molti casi, a supporto delle persone, ma è importante tenere sempre presente le implicazioni connesse. “Dobbiamo avere ben chiaro che non è un sistema in equilibrio” ha ricordato Michele Kettmajer, membro del comitato scientifico per l'Educazione e l'Intelligenza Artificiale dell'Università Pontificia di Scienze dell'Educazione e CEO di centri di ricerca sul digitale. "Non è in equilibrio – ha continuato – dal punto di vista del controllo, con poco più di cinque aziende che ne detengono il potere. Non è in equilibrio dal punto di vista ambientale, considerando che attualmente per rispondere a 20 domande con l’AI serve circa mezza bottiglia d’acqua potabile. Una risorsa vitale utilizzata per raffreddare i server. E anche da un punto di vista sociale le sfide sono molte". Nessuna demonizzazione, ma una conoscenza fondamentale per poter affrontare il cambiamento in atto e guidarlo verso una direzione maggiormente sostenibile.

La tentazione, da evitare, è quella di interpretare questa nuova realtà con un approccio dualistico, che contrappone un orizzonte distopico apocalittico a una visione salvifica della tecnologia. “Possiamo approcciarci in modo passivo, col rischio di diventare un ingranaggio del sistema, mera fonte di dati, oppure – ha esortato Don Christian Barone, teologo presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e docente presso il Dipartimento di Teologia fondamentale della Pontificia Università Gregoriana – possiamo diventare consapevoli, conoscere quello che accade e contribuire a far sì che queste tecnologie siano sostenibili anche per le nuove generazioni”.

Autore: Sara Perugini